La madre superiora ha donato a noi bambini del collegio delle Suore di Maria che, per un mese di seguito, abbiamo fatto i bravi e abbiamo detto le preghiere del mattino e della sera, inginocchiati davanti all’altare della Vergine, un rocchetto, un elastico e due bastoncini di legno, uno corto e uno lungo, dicendoci di fare un giocattolo.
Noi bambini tenevamo in mano i tre oggetti e ci guardavamo l’un l’altro senza sapere da dove cominciare. La madre superiora, allora, ci ha sorriso bonariamente, quindi con un coltello dalla lama tagliente ha inciso le rotondità laterali del rocchetto, trasformandolo in due stelle a otto punte, ha infilato l’elastico in un foro del rocchetto, facendolo fuoriuscire dall’altro e ha fissato alle estremità dell’elastico i due bastoncini di legno, girando con un dito quello più lungo, mentre teneva fermo quello più corto. Poi ha poggiato il rocchetto per terra e questo ha cominciato a muoversi in avanti ora lentamente ora velocemente, a volte fermandosi e ripartendo nervosamente, spesso sbandando a destra e a sinistra, arrestandosi, infine, su due punte di entrambe le stelle.
Uno dopo l’altro noi bambini abbiamo accarezzato il rocchetto, l’abbiamo chiamato Odradek e, con l’aiuto della madre superiora, ne abbiamo fatto uno ciascuno.
Dopo avere detto le preghiere del mattino e della sera, facendo i bravi e con la madre superiora accanto, abbiamo giocato con Odradek un minuto un’ora un giorno un mese un anno due tre…
Odradek andava avanti nel pavimento delle stanze, urtava contro i piedi delle sedie, si fermava, aggirava l’ostacolo, ripartiva, si nascondeva dietro le poltrone e negli angoli bui dove arrivavano lamelle di luce che filtravano dalle fessure delle porte e delle finestre chiuse, saliva sulle ringhiere, scendeva gli scalini rotolando e rimettendosi in piedi, percorreva lunghi corridoi vuoti, arrivava davanti all’altare della Vergine Maria.
E, intanto, perdeva le punte delle sue due stelle, l’elastico si rompeva e si accorciava, i bastoncini si ferivano e si amputavano.
Odradek andò sempre avanti e accompagnò tutta la nostra infanzia, ma un giorno sparì dai nostri giochi, dalle nostre mani, dai nostri occhi: dalla nostra vita.
Assunse una forma strana: dapprima fu sommesso fruscìo di secca foglia che cade dal ramo, spettrale figura senza centro né periferia, orlo di deserto senza piste; dopo fu strùscio della mente, assenza, silenzio.
Infine, oblio?
Odradek è il dono all’infanzia, che non ha giocattoli.
Odradek è il nome, che i bambini danno agli anni in cui si gioca con i bottoni rotti e le strisce di stoffa incolore o dai colori vivaci; e al giocattolo, che costruiscono con le proprie mani e che non costa niente.
Odradek è l’eterna infanzia giocosa, che si lascia accarezzare, ma non irretire del tutto dall’oblio: in qualsiasi spazio, in qualsiasi tempo.
Ma, ora, io non riesco più a raccontare, chiudendo il mio quaderno di scrittura e lasciandomi scivolare sullo schienale della poltroncina a braccioli dello studio.
Essendo entrato in una situazione interiore di stanchezza e di perdita dello spirito, io torno a frugare tra la nebbia dei ricordi: in mezzo a trenini e camioncini di latta, asinelli e cavallucci di legno, pupi bambole e palle di pezza, Odradek, per un attimo, si sottrae all’oblio, facendosi catturare come scarabocchio della memoria e protocollo del nulla.
Simile a lampo di luce, che abbaglia. Nella notte buia.
Antonio Cammarana