Il 24 maggio del 1925, nella sede di via XX Settembre, in seduta straordinaria e in seconda convocazione alle ore 20 ( la prima convocazione ore 18), si riunisce l’Assemblea dei Soci del Circolo della Borghesia per trattare, come ordine del giorno,” la costituzione in sindacato fascista” del Sodalizio. Relatore è l’avvocato Vincenzo Bellomo, Direttore del Circolo, il cui discorso si snoda in due parti.
Nella prima non mancano periodi paludati da una retorica declamatoria, enfatica e patriottarda, nella seconda la retorica cede sensibilmente terreno ad una più realistica presentazione degli accadimenti storici, politici e sindacali relativi agli anni che vanno dal 1919 al 1925. Nella prima parte l’avvocato Bellomo dichiara che è “grande ventura”, per lui, Direttore del Circolo della Borghesia di Biscari, “raccogliere ancora una volta”, nella “fausta ricorrenza del decimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia (la Prima Guerra Mondiale)”, il “giuramento incorruttibile di fede e di devozione agli uomini preposti alla tutela dei sacri diritti della Patria”; precisa che il 24 Maggio del 1915 “la giovinezza italica”, per correre a combattere “contro le tirannidi imperiali in difesa dei popoli oppressi”, non esitò un istante ad abbandonare “le scuole, le officine, i campi”; evidenzia che “il millenovecentodiciannove” fu “una pagina nera sinistra della storia politica italiana”, perché trionfò “la demagogia mostruosa”, che ubriacò “le masse dei lavoratori italiani, mettendoli gli uni contro gli altri allo scopo di realizzare, in Italia, quello che i soviet avevano fatto in Russia: il trionfo del comunismo”; mette l’accento sul ruolo di Benito Mussolini, che, “in una Piazza di Milano, aveva sparato il primo colpo contro il mostro bolscevico, togliendo gli Italiani dall’abisso in cui stavano precipitando e ricevendo da essi il giuramento di fedeltà”.
Nella seconda parte l’avvocato Bellomo spiega che “l’Istituto parlamentare italiano, nel lontano passato, ebbe innegabilmente una funzione di altissimo prestigio, ma in seguito si ridusse – prima dell’avvento fascista – in una decorativa palestra di vana eloquenza e in un indecente locale di disonorati turpiloqui e di più umilianti pugilati!”.
La rivoluzione fascista non fece solo giustizia di tutto ciò, ma cominciò a realizzare la riforma della burocrazia, della pubblica istruzione, dell’esercito, della marina, della milizia, la sicurezza all’interno e all’estero, i trattati di commercio, la valorizzazione di Vittorio Veneto.
“Ma la più bella, la più importante manifestazione del fenomeno fascista fu, senza dubbio, il grande movimento sindacale, che trionfalmente compie il suo inevitabile destino”.
Capitale e lavoro – come afferma Edmondo Rossoni – non sono “due termini irriducibilmente contrastanti e antitetici, ma due fattori concomitanti connessi ed omogenei; essi percorrono la stessa strada, vogliono lo stesso obiettivo: l’aumento, cioè, della produzione”. Non solo.
“Alla implacabile lotta di classe il fascismo redentore oppose la collaborazione delle classi”, quella che viene chiamata “la pace feconda tra il lavoratore e il datore di lavoro”.
Cessino, dunque, “gli odi di parte, le passioni morbose che ci immiseriscono e ci disonorano, si ravvedano i tristi e i traviati, e la parola di pace e di amore del nostro Duce avvinca tutto il popolo italiano in un indissolubile abbraccio fecondo di prosperità e di benessere, sentendo, come nelle gloriose giornate di Vittorio Veneto, l’orgoglio di essere italiani, veramente italiani!”.
Così sono descritti, nel verbale della seduta, i momenti che seguono la conclusione dell’avvocato Vincenzo Bellomo:
“Un frenetico lungo applauso accoglie il discorso del Direttore, avvocato Bellomo, e l’Assemblea, ad unanimità e per acclamazione, vota l’oggetto segnato all’ordine del giorno. In seguito a tale votazione il Circolo degli Agricoltori di Biscari (già Borghesia) si costituisce in Sindacato Nazionale Fascista dei Massari e affida allo stesso Direttore Avvocato Bellomo l’incarico di procedere, visti gli atti e le formalità inerenti, al Riconoscimento Ufficiale da parte delle Autorità Gerarchiche Sindacali, nonché al tesseramento obbligatorio per tutti i soci, ai quali si assegna un periodo di tempo massimo di giorni 25 per provvedere alla iscrizione e alla tassazione personale”.
Correttezza storica impone i seguenti rilievi:
– il verbale della seduta, a me non esperto calligrafo, pare che sia stato scritto per intero dallo stesso Direttore del Circolo della Borghesia, che aveva fatto la relazione;
– nel verbale non si fa riferimento alla convocazione dei soci mediante lettera, né all’esposizione della bandiera alla porta;
– nel verbale c’è la firma del Segretario Catania Giuseppe di Biagio e del Direttore Avvocato Vincenzo Bellomo, ma non del Presidente Guardabasso Gaetano fu Vincenzo;
– quelli della mia generazione ricordano questa comunità di uomini – che il lavoro dei campi, nel corso dei decenni, ha logorato o ha irrobustito, ma in ogni caso ha affratellato – non con la denominazione di Circolo della Borghesia o Circolo Agricolo, ma con il nome di ” Società dei Massari”, con l’accezione del termine “massaro”, intendendo non solo il piccolo o medio proprietario terriero, ma anche il gabellotto o mezzadro. In ogni caso il lavoratore di terre sue o di terre sulle quali ha dovere di lavoro e diritto di guadagno, non essendo né il semplice contadino o il semplice bracciante, che, faticando in una campagna non sua riceve una paga settimanale o giornaliera;
– non esistono documenti validi successivi, che possano illuminare la vita del Sodalizio a partire dal 1927 fino al 1942, per cui questo quindicennio di storia dell’Associazione rimane in ombra. A meno che lumi non vengano dai registri delle Amministrazioni Comunali di Acate o da altro materiale in possesso di Enti o di privati cittadini;
– la nascita del Sindacato Nazionale Fascista dei Massari a Biscari, come in tanti altri centri, fu possibile perché, in campo nazionale, Benito Mussolini poté superare indenne tutte le conseguenze politiche e morali del delitto del deputato socialista Giacomo Matteotti, grazie al coraggio e all’appoggio di Roberto Farinacci, che rappresentò il volto autentico del fascismo rivoluzionario, quello che non si venderà al Grande Capitale, né verrà a patti con la Monarchia dei Savoia. All’epoca della crisi del 1924 Benito Mussolini se ne stava “all’interno del Palazzo” intontito e paralizzato dagli avvenimenti, non sapendo quali pesci pigliare e rischiando la distruzione di sette anni di dura lotta contro il socialcomunismo, nonché la perdita stessa del potere. Il Duce fu salvato dal colpo di mano “dei trentatré consoli della Milizia, che il giorno dell’ultimo dell’anno 1924 – armi in pugno – fecero irruzione nel suo studio di Capo del Governo per obbligarlo a rompere gli indugi e a riprendere, con decisione, l’iniziativa politica”, che rischiava di sfuggire al suo controllo. Tale pronunciamento delle “camicie nere della prima ora” svegliò Mussolini dal torpore e dall’inazione in cui era caduto, facendogli preparare il discorso tenuto alla Camera dei Deputati il 3 gennaio del 1925 con il quale giustificò le azioni squadristiche e se ne assunse la responsabilità: “Dichiaro qui, al cospetto di questa assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto in Italia”.
Secondo me, questo è il momento – l’ultimo momento, prima che gli ideali politici e sociali del fascismo venissero traditi – del fascismo rivoluzionario, che aveva il suo leader riconosciuto e incontrastato in Roberto Farinacci, da cui il Sindacalismo Fascista ricevette la massima spinta per piegare, prima del compromesso o, il che è lo stesso, della sconfitta, il Grande Capitale alle esigenze sociali del Sindacalismo Corporativo con il suo teorico di punta Edmondo Rossoni.
Antonio Cammarana