Conosco veramente A.P. nel mezzo della traversata dell’anno scolastico. Mentre diversi Capi d’Istituto delle Scuole Superiori illustrano, in classe, le discipline più impegnative, che gli Alunni affronteranno nel prosieguo degli studi.
E il mio cuore si fa improvvisamente triste.
Irrimediabilmente triste.
A.P. segue i contenuti proposti, ma io leggo nei sui occhi afflizione e sconforto, a causa della situazione in cui è caduto, e provo un senso di ribellione interiore contro una società rappresentata da una classe dirigente dalla zucca vuota.
Perché la condizione sociale di A.P. è diventata condizione umana di rassegnata disperazione.
Il padre di A.P. è un meccanico, che ha perduto il lavoro e che passa le giornate attaccato ad una bottiglia di vino.
La madre di A.P. è una casalinga, che fa le pulizie nelle case dove la pietà la chiama.
A.P. non fa più i compiti, non studia il programma svolto, libera i negozi e i supermercati da cartoni minutaglie ferrivecchi.
A.P. è diventato muto.
La Costituzione della sua Repubblica lo ha defraudato della parola, di se stesso, della famiglia, dei compagni di strada, di quelli della classe e della scuola.
A.P. nega la speranza. Ha già alle spalle l’attesa e lo svilimento, che conducono allo scacco.
A.P. è una testa piegata sul petto. Ha la forma che assumono le cose nell’oblio.
A.P. è un protocollo del nulla: in questo tempo, sotto questo cielo, con questa mia scrittura.
Perché A.P. è l’Alunno Povero, figlio della Famiglia Impoverita e fermo davanti all’abisso del niente.
Ma, Lui, A.P. è pulito.
Anche se calza un paio di scarpe di pezza smunta con strappi, sopra i calzini incolori con rattoppi. Anche se indossa una camicia e un Jeans d’imprecisata storia. Il lindore di A.P. è indubbio: lindore nel fisico, soprattutto lindore nello spirito.
Antonio Cammarana