Dopo aver letto “All’ombra della vita”, che ha come sottotitolo “Abitanti di un mondo diverso” di Maria Teresa Carrubba, mi sono convinto di trovarmi di fronte ad un testo che si colloca tra il saggio storico, la narrativa d’ambiente, la moralità leggendaria, la memoria in parte (minima) propria, in parte (massima) d’altri. Un testo che presenta i vari personaggi in modo ora descrittivo e umano (Tura ), ora prolisso e sanguigno (Storia di Nina), ora sintetico e conciso (Saro), ora espositivo e compassionevole (Il caro, bizzarro Nené), ora insolito ed eccentrico (Titta, filosofo solitario).
Il personaggio più interessante mi è sembrato ” Saro”, battezzato dal paese ” Saro dalla gamba storta”: piccolo di statura, animo semplice e puro, mai invadente, abitante del Convento dei Cappuccini, sposo della miseria. Ebbe come unico compagno un jò-jò, che teneva in mano e da cui non si separava mai, trascorse tutti i suoi giorni senza fare rumore e in silenzio uscì di scena.
“Saro” completa la piccola galleria dei personaggi anche anonimi, che
affollano il mondo diverso descritto in ” All’ombra della vita” con un’arte che trae dalla quotidianità – che non appartiene a nessuna scala sociale – una realtà di sentimenti genuini e puri. Maria Teresa Carrubba ci ha restituito la memoria del personaggio di “Saro”.
“Saro” ci insegna la discrezione, la non intromissione, la vita possibile, il palcoscenico silenzioso, l’infanzia che non conosce la maturità, il coraggioso totale rifiuto della società quale è di fatto.
Se mai ” Saro” ha realmente vissuto la sua vita così come racconta Maria Teresa, la sua è stata un’esistenza felice anche nell’indigenza e coerente con la scelta coraggiosa che l’ha determinata.
Con la presentazione di “Saro” e degli altri personaggi Maria Teresa Carrubba tocca, con fine sensibilità, la realtà umana e si avvicina alla realtà letteraria, testimoniando, infine, un concreto travaglio di formazione verso un’arte personale e originale.
Ma già di Maria Teresa Carrubba avevamo apprezzato le pagine de “Il cuore delle donne, il cuore di mia madre”, racconto che ci aveva portati in un mondo antico e sincero, ingenuo e privo di malizia e di cattiveria, il cui personaggio più riuscito è “Razzudda”.
Quando l’autrice, facendo leva sulla memoria (la memoria personale e lontana), si abbandona alla trascrizione dei sentimenti, che via via affiorano nel corso della narrazione, proprio allora scopriamo la ricchezza della sua umanità nelle parole che riesce a trovare per “Razzudda”, il personaggio più originale e commovente del racconto.
“Razzudda” è una figura di forte letterario valore; è creata con tocco
rapido e sicuro; cattura la nostra attenzione e simpatia con la sua autistica solitudine e con la sua incontaminata innocenza di donna–bambina.
Antonio Cammarana
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